lunedì 16 aprile 2012

Intervista alla filosofa Laura Boella





Che significato ha il perdono e che funzione svolge nella società? Ne discutiamo con Laura Boella, docente di filosofia morale presso l'Università degli Studi di Milano, autrice di “ Neuroetica: la morale prima della morale” (Cortina)
Come definirebbe, innanzitutto, il concetto di 'perdono'? 
  
 L’etimologia della parola perdono rimanda alla “rinuncia”, per esempio a ricorrere al diritto, e anche allo scusare. Perdonare si associa però anche al dono – donare in eccesso, il dono d’amore disinteressato, incondizionato, un dono che non dà nulla, ma restituisce tutto.
L’autentico significato del perdono può essere oggi affermato considerandolo una dimensione dell’azione: esso rappresenta infatti l’altra faccia del rischio dell’agire che salva la libertà umana in nome di una forma nuova di responsabilità. Ciò avviene innescando una dinamica gratuita e dispendiosa del lasciar andare. L’essenza del perdono consiste nel restituire la capacità di agire a un soggetto che rischierebbe di restare inchiodato all’azione compiuta, se non gli si offrisse la possibilità di diventare qualcosa di diverso da ciò che ha fatto.


Esistono comportamenti rispetto ai quali non solo è lecito non perdonare ma diventa addirittura moralmente giusto e doveroso astenersi dal perdono? Interrogativi che vengono suggeriti anche a Derrida dalla tesi sostenuta da Jankélévitch nel suo "L'Imprescriptible".

La questione del perdono raccoglie molte delle domande lasciate aperte dagli eventi che hanno segnato non solo la storia del ‘900, ma si potrebbe dire la storia dell’intera civiltà umana. In ogni caso, essa si è posta con particolare forza dopo la Shoah. Qui, in effetti, il dilemma del perdono si è strettamente collegato all’imperdonabilità e imprescrittibilità del male. Derrida sostiene che si perdona solo l'imperdonabile, affermando in questo modo un'idea di perdono puro e incondizionato, nella realtà impossibile. Jankélévitch parlava invece di "follia" del perdono, ossia di assolutezza e gratuità dell'atto di amore in cui consiste il perdono. Queste tesi pongono, come ha notato Ricoeur, il problema del rapporto del perdono con la giustizia. Io ritengo che il perdono, piuttosto che incondizionato e quindi impossibile, debba essere "condizionato".Si perdona la persona e non l’azione compiuta (che può restare imperdonabile). Il perdono è un atto che non può essere ordinato. E’ necessario che il colpevole chieda perdono, ma non può scusarsi, piuttosto deve manifestare il desiderio di ricominciare, pur sapendo che esiste la possibilità di non essere perdonato, perché esiste l’imperdonabile e chi non perdona.


Cosa pensa dell'applicazione del concetto di perdono nei casi di cronaca nera particolarmente efferati? Cosa pensa, per esempio, riguardo alla "strage di Erba", del 'perdono' che il signor Castagna ha pubblicamente concesso a Rosa e Olindo?
 
Il perdono è oggi purtroppo oggetto di un uso strumentale, enfatizzato dai media che confondono perdonare e scusare o rimettere un debito. L'atto di perdonare è strettamente personale, anche se i suoi effetti hanno importanti ricadute sociali e politiche, legate alla necessità di ricomporre lacerazioni e ferite nel tessuto della convivenza. In ogni caso, un gesto di perdono ha sempre una funzione di esempio e può interrompere il linguaggio dell'odio e del risentimento.

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