1) Professor Dalmasso,
qual'e' la sua posizione circa il recente dibattito tra Gianni
Vattimo e Maurizio Ferraris?
Secondo lei, possiamo
considerarci ancora postmoderni o stiamo per diventare neo realisti,
ritornando al "pensiero forte"?
Il dibattito fra New Realism e filosofie dell’interpretazione sembra arenarsi fin dal suo nascere in una sorta di match pari contrassegnato da una insormontabile sterilità. La preoccupazione da cui è nato il “Manifesto” proposto da Maurizio Ferraris ha certamente individuato una deriva nichilistica del pensiero postmoderno insostenibile proprio a partire dall’interna esclusione di ogni punto di riferimento. D’altra parte, la filosofia ermeneutica nella seconda metà del secolo scorso ha avuto il merito di porsi come domanda radicale sul significato delle cose al di là dei punti di vista e delle visioni del mondo. La sua “debolezza” ne ha costituito certo un limite, talvolta compiaciuto, ma d’altra parte ha rilanciato incessantemente un disagio, un imbarazzo che è connaturato a una domanda e ad una mancanza da cui nasce l’umano.
2)Come giudica questa
attuale riscoperta del realismo, dopo 30 anni di "pensiero
debole"' questa riscoperta della realta' dopo tanta ermeneutica?
L’interpretazione non può essere certo – dicevano i latini – “sibi permissa”. Diremmo oggi: a ruota libera. Che però il limite e il punto di riferimento a tale deriva sia una realtà esterna, cioè le cose come si danno nella loro immediatezza sensibile e secondo il “buon senso” mi sembra una posizione molto ingenua. Il filosofo comunque non si accontenta di toccare il tavolo e bere la birra, ma è filosofo in quanto si chiede che significato ciò abbia per lui.
3)Cosa pensa della
lettura debolista della religione che dà Vattimo, specialmente in
"Credere di credere"? Che spazio c'è oggi per la religione
e per la religione intesa in che modo? Che rapporto può esserci tra
questo ritorno al "realismo" di cui parlano alcuni e le
religioni confessionali, le Chiese (in particolare il cattolicesimo)?
Questo ritorno al realismo è soprattutto o soltanto un trionfo della
scienza, delle tecnoscienze, o può significare anche un nuovo spazio
e una nuova vitalità per le religioni, che nella filosofia
contemporanrea (da Nietzsche alla società dei consumi e
all'ermeneutica e al postmodernismo di Vattimo, passando attraverso
le ideologie politiche degli anni Sessanta-Settanta) sono state o
uccise (descritte come moribonde o morte) o indebolite?
In “Credere di credere”
Vattimo intende criticare una concezione ristretta, feticizzata,
della ragione. In questo modo, tuttavia, in assenza di un recupero di
più larghe e tradizionali concezioni della razionalità, che
implicano un andare al di là, una “trascendenza”, egli è
costretto a rinchiudere il luogo del conferimento del significato in
una soggettività che non può che arrendersi a se stessa.
D’altra parte non credo
che sia una concezione della realtà, questa volta essa stessa
feticistica, a sbloccare questa impasse. La chance della ragione che
cerca di affrontare la domanda sulla sua origine, consiste, io credo,
nello sfuggire al puro esercizio di un dominio
dei significati, sia di quelli di cui parlano
le neuroscienze, sia di ideologie totalitarie, magari perseguenti un
fine religioso.
4) In base agli
sviluppi sociali, economici e politici del mondo contemporaneo, quale
reputa che sia il ruolo della filosofia, dei filosofi, oggi?
Quali sono,
parafrasando Vattimo, i fini della filosofia contemporanea?
Credo che il fascino
inesausto della filosofia non stia tanto nella potenza, pur
impressionante, del suo status disciplinare, cioè i grandi testi dei
grandi filosofi, ma piuttosto nella passione di una domanda sulla
propria origine e sull’origine del proprio desiderio. Al filosofo,
io credo, non può chiedersi un sostegno alla soluzione delle
questioni sociali, economiche e morali, quanto la giustizia, più
radicale, di un discorso che sia in grado di porre delle domande sul
rapporto tra sé e tali problemi. Il “fine” della filosofia mi
sembra essere un discorso che non abbia la forma del dominio e che
proprio per questo possa accogliere un uomo restituito a se stesso.
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